“Bebè malato e rifiutato. I limiti dell’eterologa”: Articolo di Marina Terragni pubblicato sul quotidiano “QN”

Egregio Direttore,

in data 08.11.2019, si è letto sul quotidiano “QN” (“Il Giorno” “Il Resto del Carlino” e la “Nazione”) a pagina 15, un articolo firmato dalla Signora Marina Terragni, dal titolo “Bebè malato e rifiutato. I limiti dell’eterologa”.

L’articolo argomenta su un fatto accaduto di recente: un bimbo, apparentemente concepito mediante tecnica di riproduzione assistita di tipo “eterologo”, è stato partorito presso una struttura ospedaliera della città di Torino. Il bimbo, affetto da “Ittiosi arlecchino” è stato abbandonato dai genitori.

Innanzitutto, sembra che la notizia che il bambino sia stato concepito da fecondazione eterologa non corrisponda al vero: sembra che il bambino è stato concepito mediante fecondazione assistita di tipo omologo con i gameti dei genitori stessi.

Tuttavia, il punto non è questo ma la qualità e responsabilità dell’informazione e della “comunicazione”.

In qualità di Società Scientifica ci sentiamo in dovere di integrare, nel rispetto della verità medica e scientifica, con alcuni elementi di conoscenza, l’informazione che l’articolo pubblicato non ha considerato meritevoli di menzione:

  1. In Europa, tutti i Centri di PMA sono identificati come “Istituti dei Tessuti”. Come tali, tutti i Centri di PMA sono obbligati ad eseguire procedure che hanno come obiettivo il raggiungimento della massima efficacia possibile e la tutela della massima sicurezza possibile in termini di benessere dei nati e dei loro genitori. L’esecuzione di tecniche di tipo eterologo non può sfuggire a queste procedure. Esse sono gestite secondo l’applicazione del sapere medico ed il manifestarsi di eventi rari ed imprevedibili (come la malattia di cui è affetto il piccolo nato a Torino), non riduce l’intensità della cura della/e persone e della sicurezza del processo riproduttivo.
  2. Nel testo si afferma “…e sei convinto che lo stretto controllo medico dell’intero processo ti garantirà un bambino perfino più sano di quelli concepiti naturalmente.” Orbene, sarebbe corretto che si documentasse (e si diffondesse) l’esistenza di un solo consenso informato (che, per legge è obbligatorio somministrare) nel quale sia stato riportato ciò che è affermato nell’articolo. Solo una persona poco informata può strutturare il convincimento che “medicalizzare” la riproduzione sia capace di generare una sicurezza riproduttiva, in termini di salute dei nati. Prima di iniziare un qualunque percorso di PMA, l’informazione costituisce l’elemento centrale della strutturazione di una scelta consapevole.
  3. I bambini nati da PMA, hanno un rischio maggiore di essere portatori di malformazioni congenite, rispetto ai nati da concepimenti spontanei. E’ vero, molti dati epidemiologici lo riportano. Tuttavia, il rispetto dell’informazione corretta non dovrebbe limitarsi a queste citazioni ma spiegarne il significato (medico e scientifico): le osservazioni “statisticamente significative” sono generate da piccole differenze, per cui il verificarsi degli eventi appare sempre di bassa frequenza; non è possibile (ad oggi) dimostrare che le osservazioni delle differenze siano da attribuire alla “tecnica” di per sé (oppure alla condizione di infertilità che si desidera trattare). Dati stratificati emersi da un dibattito scientifico tra inglesi e australiani, hanno portato a definire che la popolazione di coppie sterili sia maggiormente a rischio malformativo rispetto alla popolazione generale, senza alcun ruolo delle tecniche in questa determinazione.
  4. Rischio di patologia neoplastica dei tumori: i dati epidemiologici non appaiono conclusivi riguardo l’associazione tra modalità del concepimento (spontaneo o con tecniche di riproduzione assistita) e rischio di sviluppare patologia neoplastica nei concepiti. Infatti, contrariamente a quanto riportato nell’articolo sul caso di “Giovannino”, uno studio pubblicato nel 2016, dalla analisi dei dati del registro nazionale norvegese, relativa a tutti i bambini nati tra il 1984 e il 2011 (1.862.876 concepiti spontaneamente e 25.782 dopo tecniche di procreazione medicalmente assistita) e quelli provenienti dal registro norvegese relativo a tutti i tipi di cancro verificatisi nello stesso periodo, non sono state osservate differenze tra i casi di tumore riportati in bambini concepiti spontaneamente (0,24%) o dopo trattamenti di PMA (0,19%).

Per concludere, la comunicazione, soprattutto in argomenti di scienza e medicina, richiede il possesso del sapere. Questo è di certo un obbligo etico, costituendo il prerequisito indispensabile per una “libera” scelta. In assenza del sapere, appare eticamente rimarchevole soprassedere finché la rilevanza dei dati non si identifichi con la conoscenza.

A nome della Società Italiana di Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES & MR)

Dr. Roberto Palermo (Presidente della SIFES & MR)